La cueva de Alí Babá
Irán
día a día
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El meu Iran (Altaïr) o
El meu Iran (Amazon)
Nueva
edición
ampliada de Laertes Editores, 2014. Ana Mª Briongos en la
primavera de 2001 decidió viajar a Irán e instalarse durante un tiempo en
una tienda de alfombras del bazar de Isfahan para vivir de cerca el día a
día de un país en lenta ebullición, que está encaminándose hacia el futuro
sin perder la esencia de sus tradiciones. Buena conocedora del país
donde llegó por primera vez en 1968, la autora vuelve a tomar el
pulso a Irán viviendo entre las familias bazaríes más tradicionales.
Cómodamente sentada entre exquisitas piezas de
lana y seda, Ana supo apreciar los detalles insólitos de la vida cotidiana
de un pueblo que crece a su manera, mezclando de una forma muy peculiar la
tecnología más avanzada con la herencia de un pasado que impide a las
mujeres enseñar los tobillos y quitarse el pañuelo en público. La curiosidad
de la autora y su criterio a la hora de hacer buenas preguntas le
permitieron entrar en la intimidad de las casas iraníes, saborear unos
platos donde los granos de arroz cortejan las especias más refinadas, y
sorprenderse ante las costumbres que regulan la higiene personal.
El Irán del reformista presidente
Jatamí, visto desde una tienda de alfombras del bazar de Isfahan.
Esta tienda es la cueva de las maravillas, la que esconde todos los tesoros
y donde ocurren cosas insólitas. Desde ella la autora ha tomado día a día
el pulso a Irán, un país en ebullición:
Los jóvenes, las familias, las feministas
islámicas, los nómadas bajtiarís, los iraníes en California, los
raperos persas, las fundaciones paraestatales,
los entresijos del bazar, y mucho más.
Más allá del tópico y más acá de los prejuicios.
Nota de la autora:
Lamento profundamente el error cometido en la 1ª edición en castellano por
la editorial al nombrar incorrectamente el Golfo Pérsico en el único mapa
del libro, en la 2ª edición y posteriores, se ha corregido.
Las dos primeras ediciones
de bolsillo en holandés, de 4 mil y 10 mil ejemplares, se agotaron, y salió la
3ª edición con una tirada de 8 mil ejemplares. Dos ediciones en castellano
por Editorial Lumen y una nueva edicion ampliada a cargo de Laertes
en 2014. También se ha publicado en
portugués, italiano, polaco y catalán.
La caverna di Alì Babà. L’Iran giorno per giorno
(Comentario
a la edición italiana
por Sara
Fiorillo)
Attivista
agguerrita ai tempi dell’Università e viaggiatrice impavida tra i
sessantottini partiti alla volta dell’India. Innamorata degli afghani.
Caparbia quando vinse a Teheran, lei laureata in fisica, una borsa di studio
in lingua e letteratura persiana. Curiosa quando, nel 1994, partì per
guardare da vicino gli esiti della rivoluzione, e scrisse Negro sobre negro.
Irán: Cuadernos de viaje. Inesauribilmente entusiasta se nel 2001 visse per
qualche mese a Isfahan, ospite di vecchi conoscenti, lavorando in un negozio
di tappeti e condividendo le giornate con commercianti e clienti, lei unica
donna privilegiata perché straniera e perché di passaggio.
Sarà proprio
questo negozio la finestra spalancata sull’Iran di oggi in La caverna di Alì
Babà. L’Iran giorno per giorno, l’ultimo libro di Ana M. Briongos scritto
con l’intento di liberare il lettore dai pregiudizi dell’Occidente su un
paese ‘in ebollizione’ e su una società lacerata da profonde contraddizioni
fra l’antica civilizzazione, l’Islam e il modello occidentale, fra il
progresso e il tradizionalismo, fra la legalità e la corruzione, fra la
libertà e la censura. Una realtà complessa che l’autrice, senza giudizi né
denunce, indaga con il suo sguardo acuto e ironico. E il suo atteggiamento è
suave, ed è affettuoso, perché Ana riduce al minimo ogni distanza, e niente
impedisce al lettore di percepire, nella scrittura stessa, il calore di
questa intensa partecipazione.
La caverna di Alì Babà, quindi, non è solo uno
scrigno di preziosi tappeti, il cui immenso valore è dato
dal lavoro di donne e bambini, dalla genialità
del disegno, dall’uso e dall’assoluta
unicità di ciascuno. La caverna di Alì Babà è anche un libro, semplice ma
ricco, che racconta l’abisso fra la pressione esercitata nel controllo della
morale pubblica
e la libertà di quella privata; che descrive spazi, abitudini e usanze: la
casa tradizionale, l’hamam, le riunioni di lutto, le processioni
dell’ashura, così simili a quelle della Semana Santa; che lascia trapelare
la stanchezza per la dittatura, le speranze per una pacifica transizione
democratica e le delusioni dei giovani che scoprono giorno per giorno il
mondo tradizionale (quegli stessi giovani che anche qualche settimana fa,
scontenti per la privatizzazione del sistema universitario, hanno
protestato, con gli occhi rossi per i gas lacrimogeni, contro Khatami che in
sette anni di potere non ha attuato una sola delle riforme promesse).
E tutto questo
intrecciato alle storie di Anahita, la ‘prigioniera’ che “vive grazie alle
fantasie letterarie che le permettono di volare oltre i limiti imposti dalla
chiusa società di Isfahan”; di Behrus, il cantante costretto dallo scià a
cambiare mestiere, e ormai consumato, con lo sguardo cupo e triste, perché
“vent’anni senza l’entusiasmo e gli applausi dei suoi ammiratori gli hanno
impedito di essere felice”; dell’anziana signora che disegna in un’alfombra
una coloratissima ballerina andalusa, copiandola da una vecchia cartolina:
“l’aveva
conservata gelosamente fino a che non aveva smesso di lavorare, e ora,
nell’ultimo periodo della sua vita, finalmente libera dagli impegni
quotidiani, si era dedicata completamente al compito di riprodurre la sua
immagine”. E di altri
straordinari personaggi che si affacciano nel libro a mostrare che le vere
protagoniste sono le relazioni umane, che “i cammini del mondo sono una
scuola dove si tempra lo spirito e si affina la tolleranza e la solidarietà.
Dove si impara a dare e a ricevere, a tenere aperte le porte della casa e
dello spirito, e soprattutto a condividere”:
“ (…) quando mi
ascolto mentre spiego loro chi sono, da dove vengo e perché desidero
conoscerli, sento che sto vivendo un momento straordinario, unico, un
momento in cui ciò che conta è soltanto raccontare ciascuno la propria
realtà, storie sconosciute e umili, umane però nel senso più profondo del
termine”. Perché quando è
un’esperienza profonda e non un’escursione turistica, viaggiare
significa prima di tutto avvicinarsi a vite diverse dalle nostre,
ascoltarle, conoscerle: “ (…) In
momenti come questo mi rendo conto che a portarmi in paesi lontani non è
solo la curiosità antropologica, ma anche il bisogno di attingere il sapere
delle persone che li abitano, capire ciò che esse sanno e sentono,
condividere le ricchezze che il mondo ci elargisce, offrire e ricevere.
Soltanto la conoscenza ci dà modo di estendere il nostro amore oltre i
confini del noto e per conoscere è necessario saper ascoltare”.
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